Europarlamento

Report di QualEnergia.it sul provvedimento Europeo

Martedì 14 marzo l’Europarlamento ha approvato il testo della Epbd (Energy performance of buildings directive), la nuova legislazione che prevede una serie di obblighi per riqualificare dal punto di vista energetico gli immobili più inefficienti, con 343 voti favorevoli, 216 contrari e 78 astensioni.

Il testo che arriva in aula è quello votato a inizio febbraio dalla Commissione Itre (Industria, ricerca ed energia) dell’Europarlamento, grazie al compromesso raggiunto tra le principali forze politiche (Ppe, S&D, Renew, Verdi e sinistra).

La direttiva Epbd ha suscitato parecchi malumori soprattutto in Italia. Proprio in questi giorni, alla Camera è stata approvata dalla maggioranza una mozione contro la Epbd in cui si parla, ancora una volta, di “attacco al patrimonio edilizio italiano” a causa degli obblighi di riqualificazione imposti dalla direttiva.

Dopo il voto in plenaria di oggi, la direttiva proseguirà il suo cammino nel negoziato finale con gli Stati membri per concordare il testo definitivo.

Rivediamo allora i punti principali del testo grazie al lavoro portato avanti dal relatore della Epbd, il verde irlandese Ciarán Cuffe.

Le novità del testo

Tra i punti più dibattuti e controversi, figurano i target di rinnovamento energetico per gli edifici residenziali: questi ultimi dovranno essere almeno in classe energetica E al 2030 e D al 2033.

Gli immobili pubblici dovranno invece raggiungere le stesse classi, rispettivamente, entro il 2027 e 2030.

L’aggiornamento delle prestazioni energetiche (che può assumere la forma di lavori di isolamento o miglioramento del sistema di riscaldamento) sarebbe richiesto quando un edificio viene venduto o sottoposto a un’importante ristrutturazione o, se è in affitto, quando viene firmato un nuovo contratto.

Ciascuno Stato membro dovrebbe stabilire le misure necessarie per raggiungere gli obiettivi, tramite i piani nazionali di ristrutturazione. In sostanza, per tenere conto delle diversità nazionali, la classe G dovrebbe comprendere il 15% degli edifici meno efficienti del parco edilizio di ogni Paese.

Sono previste diverse deroghe: ad esempio, gli Stati membri potranno esentare dagli obblighi gli edifici tutelati e quelli a uso temporaneo, oltre a chiese e luoghi di culto. Prevista anche la possibilità di esentare l’edilizia sociale pubblica, se i lavori di riqualificazione facessero aumentare gli affitti in modo sproporzionato, rispetto ai risparmi conseguibili nelle bollette energetiche.

Altre deroghe dagli obblighi di ristrutturazione sono previste per le case indipendenti con superficie calpestabile inferiore a 50 mq e per le seconde case (immobili usati meno di quattro mesi all’anno o, in alternativa, per un periodo limitato dell’anno e con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo che risulterebbe dall’uso durante l’intero anno).

Gli Stati membri potranno anche rivedere gli standard minimi di prestazione degli edifici residenziali – classe E al 2030 e D al 2033 – per ragioni di fattibilità economica e tecnica dei lavori di ristrutturazione e per ragioni legate alla disponibilità di manodopera qualificata. Ma tale deroga può riguardare al massimo il 22% degli edifici totali e non potrà essere applicata dopo il 1° gennaio 2037.

Inoltre, tutti i nuovi edifici dovranno essere a emissioni zero dal 2028; dal 2026 quelli occupati, gestiti o di proprietà di autorità pubbliche.

Altra novità è il solare obbligatorio per le nuove costruzioni entro il 2028 (ove tecnicamente ed economicamente fattibile), mentre gli immobili residenziali in fase di ristrutturazione dovranno adeguarsi entro il 2032.

Una rilevante scappatoia è stata poi concessa ai combustibili fossili nel riscaldamento degli immobili.

In linea generale, la direttiva prevede di bandire gli impianti di riscaldamento alimentati da fonti fossili per tutti gli edifici nuovi o ristrutturati, già dalla data di recepimento della direttiva stessa.

Tuttavia, sono fatti salvi gli impianti ibridi e quelli che possono utilizzare anche energie rinnovabili. In pratica, questa formulazione lascia le porte aperte alle installazioni di caldaie a gas “hydrogen ready”, cioè certificate per bruciare sia gas fossile sia, in futuro, idrogeno.